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J-Beauty: tutto quello che c'è da sapere

L'aura che circonda la J-Beauty, alias japanese beauty, è da sempre colma di fascino e potenza evocativa. Questo tipo di routine, infatti, affonda le sue origini in un’epoca remota, dove i gesti di bellezza venivano eseguiti con maestria ed estrema perizia poiché erano propedeutici all’ottenimento di un risultato che, lungi dall’essere meramente estetico, aveva il fine di rappresentare e far emergere un mondo interiore, un universo che utilizzava la pelle per comunicare e diffondere il proprio stato di grazia. Non è un mistero che alla base della J-Beauty vi sia una sorta di filosofia che abbia come obiettivo il raggiungimento di una condizione di benessere dove la connessione tra psiche e pelle si concretizza in un mutuo scambio, con il rivestimento esterno che si fa portavoce dello stato di salute e benessere dell’individuo. Per la J-Beauty pelle sana è sinonimo di pelle bella, e viceversa. La bellezza, inoltre, per il mondo giapponese, non è mai ostentazione, ma va sempre di pari passo con la semplicità e l’eleganza.


I principi e i canoni estetici della J-Beauty

I principi estetici che rappresentano i pilastri su cui si fonda la J-Beauty sono tre: kanso, shibui e seijaku, rispettivamente semplicità, bellezza sublime e calma attiva. Un rituale di skincare giapponese che si rispetti prevede dunque un numero contenuto di referenze, prodotti con all’interno ingredienti prevalentemente naturali e dei movimenti che, come in una cerimonia, vengono eseguiti con estrema precisione e sono calibrati in maniera da ottimizzare l’applicazione e la performance di ogni formula. In ossequio allo shibui (o shibusa), che è il termine con il quale viene identificato l’acme estetico, ovvero la tipologia di bellezza più elevata e non artefatta, la skincare giapponese mira all’ottenimento di una pelle bianca, traslucida, luminosa, priva di imperfezioni, simile alla seta. Negli ultimi anni ha inoltre preso piede l’espressione mochi hada (pelle di mochi), che rende perfettamente l’idea circa l’obiettivo di ogni beauty addicted del Paese del Sol Levante: avere la pelle morbida e al contempo rimpolpata, plumped, dalla consistenza simile a quella dei mochi, i dolcetti giapponesi a base di riso glutinoso. Il candore del viso in Giappone è il canone estetico imperante ed è figlio di un antico retaggio: la nobiltà era infatti solita tingere di bianco la pelle del volto e della nuca. Veniva utilizzata una polvere mescolata con dell’acqua, l’oshiroi, che in passato aveva una composizione differente rispetto a quella moderna. Per lungo tempo questo preparato si ottenne dalla polverizzazione dei chicchi di riso o dei gusci di conchiglie, fino a quando, nel diciannovesimo secolo, prese piede un composto noto come “argilla cinese”, contenente polvere di piombo, che causò numerosissimi problemi e intossicazioni talvolta fatali, tanto che ne venne vietata la commercializzazione. Alla luce di ciò, esporsi al sole in Giappone è tuttora un tabù. “La pelle bianca copre sette difetti” (色の白いは七難隠す, iro no shiroi wa shichinan kakusu), recita un proverbio giapponese. La regola aurea è dunque utilizzare quotidianamente una protezione solare, talvolta unitamente a referenze contenenti un filtro ad ampio spettro. Per sbiancare la propria carnagione, i giapponesi fanno largo uso di referenze dall’azione schiarente, mentre al giorno d’oggi l’utilizzo dell’oshiroi è quasi totalmente appannaggio del migliaio di geishe presenti attualmente nel Paese e degli attori del teatro Kabuki.

Tradizione e innovazione

Il successo della J-Beauty va ricercato sicuramente nella fascinazione che i riti e la cultura nipponica esercitano sul mondo occidentale da sempre, ma anche e soprattutto nel know-how senza eguali del Giappone in ambito formulativo. La ricerca cosmetica ha dato vita, negli ultimi 50 anni, a prodotti che, senza tradire i principi della tradizione, rappresentano il più fulgido esempio di innovazione scientifico-tecnologica, con performance senza eguali. Il mercato giapponese deve fare i conti con le richieste e le aspettative dei consumatori più esigenti del pianeta, che da un lato non vogliono perdere la stretta connessione con la propria storia e le proprie radici, dall’altro pretendono risultati e novità più di ogni altro popolo al mondo. «Oggi le donne giapponesi sono molto informate sulla qualità dei prodotti di skincare, come vere professioniste. Il mercato giapponese rappresenta una vera sfida: le consumatrici ricercano costantemente referenze di alta qualità in termini di ingredienti», sottolinea Charles-Edouard Barthes, founder di EviDenS de Beauté.


Doppia detersione: in principio non era una moda

La doppia detersione rappresenta indubbiamente la punta di diamante del rituale di bellezza giapponese, lo step più importante e rappresentativo della J-Beauty. Questa pratica non è coreana, come molti erroneamente pensano, ma è nata in Giappone, per rispondere a un’esigenza pratica di geishe, maiko (aspiranti geishe) e attori di teatro Kabuki: rimuovere l’oshiroi, che veniva applicato dopo aver steso due tipi di cera, l’ishineri sulle sopracciglia, il bintsuke su viso, collo e nuca. Le geishe e le maiko applicavano l’oshiroi solo sulla parte destra e sinistra della nuca, che in Giappone è considerata la zona più erotica e seducente del corpo. Le prime generalmente lasciavano nude due porzioni di pelle in modo da formare una V, le aspiranti geishe invece tre, così da ottenere una W. Il primo step della doppia detersione consisteva nell’applicazione dello tsubaki, l’olio di Camellia japonica, che veniva utilizzato puro e massaggiato a lungo per sciogliere il trucco. Successivamente si usava un sapone schiumogeno, generalmente a base di riso, e si risciacquava accuratamente con acqua. La detersione veniva perfezionata per mezzo di lavette di seta, per rimuovere i residui delicatamente. La doppia detersione non era dunque un trend, ma l’unico modo per asportare efficacemente una vera e propria maschera di trucco. «Oggi il primo step di questa tipologia di detersione è quasi sempre effettuato con oli o burri che contengono al proprio interno una dose di emulsionante, per facilitare la rimozione del prodotto durante il risciacquo. Il secondo step potrebbe dunque rivelarsi troppo aggressivo, essendo quasi sempre effettuato con un detergente schiumogeno ricco di tensioattivi. È importante optare per prodotti con una quantità di emulsionanti e tensioattivi ben calibrata, che apportino anche principi attivi rispettosi dell’omeostasi e del microbioma cutanei, senza mai perdere di vista le condizioni, la natura e le peculiarità di ogni pelle. La doppia detersione, che negli ultimi anni ha goduto di fama e popolarità nel mondo occidentale, va eseguita con criterio. In molti casi vengono utilizzati due prodotti, magari di differenti brand, uno a base oleosa e uno schiumogeno, che non sono stati pensati e dunque formulati per essere utilizzati in successione», precisa il dottor Andrea Di Stefano, dermatologo.


Non è solo una questione di step

L’abitudine di evidenziare il numero di step previsto da ciascuna beauty routine orientale finisce per essere un metodo di catalogazione svilente e riduttivo, che fa perdere di vista le reali peculiarità che stanno alla base di ogni tradizione. Quando si parla di J-Beauty, per esempio, è praticamente impossibile stilare un vademecum universalmente valido e accettato contenente i passaggi che scandiscono questo rituale tanto antico quanto evocativo. Il libro che per più di un secolo ha rappresentato un vero e proprio faro per quanto concerne la divulgazione della J-Beauty è Miyako fuzoku kewaiden (Un manuale di cosmetica nella capitale). Questo testo, pubblicato nel 1813, ha influenzato intere generazioni e contribuito in maniera preponderante alla diffusione di procedure e tecniche che hanno rappresentato le basi su cui è stata fondata la moderna routine di bellezza giapponese. Il manuale contiene ricette di bellezza e tecniche per sbiancare la pelle, ma anche dritte su come applicare e rimuovere l’oshiroi. Non è però mai stata effettuata un’opera di codificazione dei singoli step della J-Beauty. Negli ultimi 50 anni l’evoluzione della scienza cosmetica e la presenza massiccia, in continua crescita, di player del settore hanno comportato l’immissione sul mercato di referenze che un tempo non erano contemplate. Sono dunque i brand, con i propri prodotti, a modulare e implementare in maniera peculiare la routine, pur rimanendo fedeli alla filosofia nipponica. In ogni modo, il numero di step della J-Beauty generalmente va da 4 a 10. Dopo la doppia detersione si passa alla cosiddetta doppia idratazione, che consiste nell’utilizzo di una lozione contenente attivi idratanti, emollienti e talvolta schiarenti per poi procedere all’applicazione di una crema che funga da sigillo, preservando a lungo l’idratazione e agendo, per mezzo degli attivi contenuti al suo interno, su tono, rughe e luminosità. È inoltre possibile utilizzare un siero, generalmente a base oleosa o con attivi schiarenti. Gli altri prodotti, che vengono inseriti a seconda dei gusti, delle esigenze e delle abitudini personali, sono generalmente il contorno occhi, il balsamo e contorno labbra, le maschere e la crema per il collo. La protezione viene sempre applicata a completamento del rituale, anche se si è optato per referenze contenenti un filtro solare.





 
 
 

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